La fotografia antica – prima parte

Vi propongo qualche considerazione in attesa del corso dedicato ai primi cinquanta anni della fotografia “Dalla nascita della fotografia al modernismo” che avrà luogo a partire da Febbraio 2017.

La nascita della fotografia è un esperimento che prende luogo in varie parti dell’Europa. I pionieri o elaboratori originari delle prime immagini fotografiche capiscono immediatamente il carattere rivoluzionario della loro scoperta e diventeranno a turno chimici, ottici e ingegneri per dare stabilità ad un processo che per almeno cinquanta anni sarà difficile e aleatorio nei risultati. Eppure in cinque decenni questi avventurosi pionieri scaveranno le fondamenta solidissime e anche poggeranno gli architravi della fotografia contemporanea. Ora, quando vediamo una fotografia in bianco e nero o con un viraggio brunito, di un mondo scomparso, leviamo alte le lodi alla tecnica della fotografia ai sali d’argento e rimpiangiamo, spessissimo, quanto è rappresentato nelle immagini e adesso è svanito. Raramente gli occhi cercano, oltre al come eravamo, la lettura delle fotografie che rappresentano la visione primigenia dei nostri antenati fotografi del mondo che ci circonda. L’indagine visiva dei fotografi, pionieri nel applicazione dell’arte fotografica, è quasi sempre ricca e profondamente unita all’esplorazione di quanto la fotografia poteva trovare, in anni, in cui i risultati erano spesso aleatori. Dal 1840 fino al 1890, quando i materiali e le tecniche hanno finalmente compiuto il passo definitivo verso standard ripetibili, Daguerre, Fox Talbot e compagni hanno esplorato tutti i temi che adesso noi, figli della fotografia istantanea, pratichiamo con insolente facilità. Loro, fotografi dei primordi, hanno intrapreso la strada della scoperta delle possibilità del mezzo senza fermarsi di fronte a nessun impedimento tecnico o di lettura visiva. La libertà che gli ha contraddistinti è il fuoco che ha tenuto viva la fotografia negli anni successivi al suo sviluppo e ascesa come mezzo innovativo per registrare in pianta stabile la realtà che ci attornia.

Fox Talbot guarda il mondo come un raccoglitore che prende tutto ciò che lo interessa convertendolo in immagine fotografica.

È affascinato dalla natura e ne darà testimonianza,con mezzi arcaici, in un libro “The pencil of nature” che è un inno alle possibilità di fotografare cose semplici trovando in esse il significato primario del loro esistere nel mondo.

L’urgenza di fotografare la semplicità di soggetti che diventano, nella loro quotidianità, lo specchio, in un esercizio sublime, della varietà di temi di ciò che abbiamo intorno

Eduard Baldus è il fotografo di quei soggetti che adesso chiameremo “non luoghi”.

Esplora gli spazi, allora miracolo della tecnica, che vengono destinati alle opere viarie.O alle costruzioni o rifacimenti di edifici che passano dalla condizione di antichi a quella del moderno, così inteso nella seconda metà del Ottocento.

Frederick H. Evans ritrae il silenzio delle cattedrali, dedicando loro, gran parte della sua opera.

È il fotografo dello spazio in architettura e della sua tangibilità in stampe al platino che trasmettono vividamente la qualità della sua visione.

 

Le volumetrie diventano il corpo della sua ricerca che trasmette la visione ordinata e profonda di luoghi, fino a quel momento, visti solamente a porzioni.

 

 

Timothy O’Sullivan percorre gli spazi sconfinati degli Stati Uniti fotografando e dando un senso visivo al nulla che lo circonda.

Egli, assoluto pioniere nella fotografia di paesaggio, è il primo topografo associato a spedizioni di esploratori e cartografi.

La sua opera è fondamentale per capire la visione dello spazio aperto in fotografia.

 

Le serate, che dedicheremo, alla fotografia nei suoi primi cinque decenni, sono la chiave di volta per iniziare un percorso con occhi sciacquati dalle troppe immagini che ogni giorno siamo costretti a vedere. Sono un bagno purificatore che ci insegna in modo chiaro e preciso, il significato della fotografia diretta, senza le innumerevoli barriere che si sono inserite nella fotografia contemporanea facendoci perdere, molto spesso, il fine dell’immagine.

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