Anton Corbijn – Il ritratto in rock

La musica rock ha sollecitato la giovane fotografia degli anni sessanta a cercare strade nuove per rappresentare la rivoluzione in musica e i fotografi hanno risposto con immensa volontà di guardare i protagonisti con occhi totalmente immacolati, privi di qualsiasi retaggio del passato. Lo spazio di una copertina del disco 33 giri, 30×30 centimetri, era la tela in cui potevano misurare e comporre le fotografie dei loro coetanei intenti a cambiare il corso della musica contemporanea. Dopo la metà degli anni 60 le copertine iniziano ad avere una diversa e complessa funzione: quella di essere riconoscibili al primo impatto per identificare gli autori della musica, se non addirittura degli stili che arrivavano alle orecchie del pubblico quasi ogni mese. Il connubio di grafica e fotografia diventa imprescindibile e la fantasia applicata è il dogma di quegli anni sulle copertine degli album. Nasce e si sviluppa velocemente una scuola di grafici e fotografi dediti quasi esclusivamente all’immagine rock. Anton Corbijn (Olanda 1955) nasce con qualche anno di ritardo rispetto ai suoi predecessori addetti alla scoperta dell’iconografia rock. Lavora dalla fine degli anni settanta ad illustrare con fotografie gli articoli del settimanale New Musical Express, così come il più patinato post punk magazine The Face. Lo conosco in quel periodo attraverso la scadente carta del NME quando incontro i suoi primi ritratti così diversi dallo stile psichedelico-pomposo e qualche volta di cattivo gusto dei suoi fratelli maggiori. Mi attrae la sua volontà di ridurre al minimo gli effetti, usando un bianco e nero scarno, quasi al limite della monocromia. I grigi sono assenti e il contrasto feroce con i bianchi slavati a contornare le superfici del grigio pesto e del nero profondo sono il suo marchio fotografico. Le pose dei protagonisti sono semplici, senza nessuna concessione a contorcimenti o mascheramenti adatti a far ricordare solamente la stranezza dell’immagine. Corbijn opera la trasformazione della copertina del trentatré giri in ritratto riconoscibile dei protagonisti, quasi un tracciato visivo del periodo musicale attraverso la fotografia. Vive per la sua età anagrafica il passaggio dal vasto spazio delle copertine dei vinili al formato ridotto dei CD, così opera un ritorno al classico ritratto, connotato dalla presenza prominente dei musicisti. Il bianco e nero lascia per strada tutti gli effetti speciali usati dai suoi colleghi e indirizza l’occhio verso l’essenza dei volti, senza dispersioni nel mondo dell’immaginifico, così caro all’iconografia rock. È Corbijn un ritrattista essenziale nella tradizione della storia dell’arte fiamminga dove il tratto serve a identificare, senza distrazioni, l’elemento umano. Spesso le sue copertine sono lo stato, fermo nel corso del tempo, dei protagonisti della musica rock così capace di mutare pelle e immagine in brevi periodi, come stelle filanti in una sfilata di carnevale. Le sue fotografie sono l’elemento identificativo della maturità, quasi il tramonto, della musica rock vista con un occhio severo, intento a rendere tangibile la fine dell’iconografia rock iniziata nei sessanta e ora divenuta un ricordo da studiare per capire l’immensa innovazione visuale entrata nel nostro mondo in soli venti anni.

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