Nella ricerca quasi trentennale delle immagini realizzate dai pionieri della fotografia ho spesso cercato di avere libri relativi agli autori Inglesi di metà Ottocento. Non ho avuto molta fortuna per la scarsa diffusione editoriale delle fotografie prodotte dagli autori del Regno Unito. Nelle antologie dedicate alla fotografia dalle origini e nelle storie della fotografia ho potuto avere solo l’antipasto di quanto si sarebbe rivelato, poi, negli ultimi quindici anni, un’abbuffata pantagruelica di libri dedicati alla fotografia inglese o britannica degli esordi. Eppure i fotografi del Regno Unito hanno viaggiato nel loro immenso Impero fotografando e portando l’arte della fotografia a spasso per il mondo. Due fotografi, James Anderson e Robert MacPherson, arrivarono anche in Italia, sulle orme dei turisti intenti a compiere il Gran Tour e fotografarono Roma e dintorni ponendo le basi della fotografia in Italia. La fotografia Inglese ha il dono di essere eclettica, spesso in maniera anomala rispetto a quella continentale. Julia Margaret Cameron (1815-1879) ha una carriera fotografica che dura undici anni, dal 1864 al 1875 in cui insegue il suo ideale di bellezza attraverso l’uso del fuoco morbido in ritratti, preparati in casa, che definire ricchi d’immaginazione è la giusta cifra stilistica per fotografie che sono, tuttora, l’apice della rappresentazione del quotidiano vestito di fantasia.
Essi diventeranno icone riconosciute nella storia della fotografia quando si toccheranno i temi della messa in scena con visi tratti dal mondo domestico. L’intensità è quanto Julia Margaret Cameron infonde a tutti coloro che passeranno di fronte al suo obiettivo.
Peter Henry Emerson (1856-1936) vive la seconda stagione della fotografia britannica come grande contestatore della stessa e chirurgo per parte della sua vita.Impegnerà molto del suo carisma di teorico e praticante della fotografia per promuoverla come forma d’arte. Rimarrà nella storia della fotografia per avere propugnato e scattato fotografie che mostravano ambienti naturali e il lavoro dell’uomo nel creatoEntrato nel consiglio della Royal Photographic Society inizierà le dispute sulla natura della creazione fotografica e sullo scopo e il significato della fotografia nel mondo della comunicazione. Pubblicherà nel 1889 un testo polemico Naturalistic Photography for Students of the Art che alimenterà per anni le polemiche sul come realizzare le immagini fotografiche e sul loro uso
Frederick H. Evans (1853 – 1943) è il fotografo delle architetture. Uno dei primi grandi viaggiatori negli spazi costruiti dall’uomo
Evans lavorò come libraio, poi si ritirò dalla professione per diventare un fotografo a tempo pieno nel 1898, adottando la tecnica della platinotipia per la sua immagini fotografiche. La stampa al platino-palladio è un procedimento fotografico monocromatico in grado di restituire la più ampia gamma di toni. L’ampia ricchezza di sfumature e l’efficacia nel far emergere tutti i dettagli dell’immagine in armoniose gradazioni rende questa tecnica (detta anche platinotipia o palladiotipia) una delle più affascinanti nella fotografi antica.
Evans ha l’ideale concezione di realizzare le immagini con la semplice e diretta resa fotografica “perfetta” senza nessuna modifica o ritocco del negativo. Questo ideale applicato ai soggetti architettonici del suo lavoro: le antiche e storiche grandi cattedrali, chiostri e altri edifici con il fascino dello spazio scandito dall’opera dell’uomoLa fotografia inglese rappresenta una fonte inesauribile di autori e tendenze fino al primo Novecento, poi andrà in un isolamento che si protrarrà fino al dopo guerra, lasciando la fotografia europea orfana di un centro vitale per almeno ottanta anni nella creazione e sviluppo dell’arte fotografica