Tornando a casa – parte seconda

C’è stato un tempo in cui bambino sono stato portato ad assistere alla “furia dei cavaleri” I bachi da seta erano in una casa colonica poco distante dalla mia nuova dimora, andai a piedi con mio nonno. Vidi i graticci con le bestiole foraggiate a più non posso con le foglie di gelso e la stufa accesa a tenere caldo l’ambiente per facilitare la loro muta.

Questo periodo dell’anno, nella lontana era analogica, era simile a quello dei bachi da seta. Tutti i fotografi, sommariamente divisi in: dilettanti, amatori, amatori evoluti avevano fatto ritorno a casa dopo le ferie, anche i più girovaghi erano rientrati. Iniziava così la raccolta dei rullini 135 impressionata durante le vacanze. Era il tempo della furia nei laboratori di sviluppo e stampa.

Anche noi, studio d’immagine pubblicitaria, senza contatto con il popolo fotografico, raccoglievamo il materiale da trattare da amici, amici degli amici, conoscenti e anche sconosciuti che telefonavano per chiedere di avere il trattamento invertibile delle loro foto mediato da uno studio di professionisti. Esistevano allora il trattamento dia normale e quello professionale. Così come la scelta delle pellicole invertibili, da usare durante le vacanze, prendeva parte della primavera negli amatori che verificavano con grande attenzione gli effetti di realizzare le proprie immagini su Kodak piuttosto che Fuji o viceversa. Loro chiedevano espressamente di comperare i film dai nostri fornitori abituali e poi farli trattare dal laboratorio come diapositive professionali per avere lo stesso trattamento dedicato agli esperti fotografi commerciali. Il nostro pare era tenuto in grande considerazione e in queste settimane di settembre arrivava in studio il materiale sensibile esposto nei mesi estivi. Qualcuno fotografava anche con il negativo colore, e spesso, preso dal entusiasmo ordinava di stampare tutto in formato 10×15 centimetri anziché avere dei provini da cui scegliere, anche per questo materiale era richiesto il trattamento professionale. Telefonavano sconosciuti chiedendo di avere il nostro supporto per gli sviluppi delle loro immagini. Spesso consigliavamo di aspettare qualche settimane quando il grosso del lavoro fosse stato smaltito, ma era quasi impossibile far desistere il popolo dei fotografi di quegli anni dalla furia dello sviluppo di settembre. Iniziavano le telefonate per conoscere l’arrivo del materiale, quasi sempre in ritardo, considerata l’enorme quantità di rulli in viaggio tra sviluppatrici, montaggio e imbustamento e ritorno a casa. Qualcuno avvisato dell’arrivo cercava in anteprima di renderci partecipi sul tavolo luminoso delle sue immagini, la più parte prendeva i sacchetti di plastica con le scatole di diapositive e s’immergeva nel buio di una stanza rischiarato dal proiettore. La scelta comportava serata di pensieri e ripensamenti, montaggi e smontaggi della sequenza nei caricatori da mostrare alla famiglia. Era il momento degli inviti a cena o alle proiezioni di coloro che si erano serviti del nostro appoggio per avere i trattamenti professionali. Case sconosciute e situazioni fantozziane quando i caricatori da vedere erano 12 da cinquanta diapositive cadauno. Qualcuno, pochi, erano già a trequarti della loro scelta, altri sbrodolavano prime e seconde scelte in continuazione con varianti accluse e la tortura, appena attenuata da qualche buon piatto o calice di vino, diventava insopportabile per tutto il pubblico ammassato in salotto, al buio, da tempo. Si consumavano così ore inutili, fino a notte fonda, che poi venivano ripetute quando per l’ordine di stampa l’autore veniva in studio per la scelta definitiva. Il dilemma era sempre lo stesso: Cibachrome o internegativo per la stampa tradizionale in C41. Si consumavano tardi pomeriggi e cene per riuscire a dare risposte agli amatori e dilettanti che dovendo spendere altri soldi e mostrare il loro valore fotografico, rompevano il cappello in mille pezzi per avere la scelta definitiva. Noi vedevamo lentamente, attraverso questi passaggi, le immagini scattate in vacanza. Spesso il luogo scelto, molto meno esotico di adesso, era stato studiato e analizzato proprio per poter scattare delle immagini significative. La preparazione dell’attrezzatura fotografica e delle pellicole era una costante in cui, come professionisti avevamo il compito di portare la nostra esperienza a supporto delle qualità dei nostri “colleghi” amatoriali. Prima di Natale vedevo le cornici con le opere e allora la seta era stata filata, colorata e impiegata per fabbricare foulard o sciarpe, così come le foto diventavano parte dell’arredamento di casa o fogli di un portfoglio fotografico che alcuni costruivano come testimonianza della loro capacità di fermare sulla pellicola il mondo.

Adesso conosco di tutti quelli con cui ho contatti le mete delle loro vacanze. Ho visto schiene e zaini di camminatori su percorsi spirituali. Frotte di ciclisti in posa sui passi alpini o in paesaggi spettacolari. Stormi di motociclisti nei luoghi più impensati, moto parcheggiate in bella vista ai bordi di laghi, fiumi, deserti. Ora è politicamente scorretto mostrare a propria automobile sulla riva de lago di Misurina perciò i viaggiatori mi deliziano con selfie e rapide visioni di luoghi, spesso, inflazionati. I luoghi esotici abbondano, così come l’imitazione di National Geography nelle sue svariate salse. Vedo onestamente ben poche foto personali. Esse rimangono a dormire nelle capienti memorie di computer o telefoni e piano se ne vanno per far posto ad altri coriandoli di un Carnevale che non ha mai fine. Sono sincero, mi manca quella intimità dello scatto, la meditazione per la scelta delle immagini da mostrare al prossimo. È finita la furia degli sviluppi e è iniziata quella della fotografia in diretta, tutto e subito, molto spesso insignificante. Questo è il mondo dell’immagine fotografica che osservo spesso con un sorriso sarcastico.

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