Pezzi Unici – No ordinary land

Ovvero quei volumi che, nella nostra collezione di libri fotografici, sono rimasti senza seguito. Hanno avuto un’intensa o anche rada consultazione e poi si sono accomodati tra molti altri, senza che ci fosse un ulteriore interesse per i loro autori. Sono dei figli unici.

No ordinary land / Encounters in a changing environment – Photographs by Virginia Beahan and Laura McPhee / Aperture 1998

Il libro è stato comprato alla sua uscita, attratto dal argomento e dalla foto di copertina, ma soprattutto dalle poche righe di presentazione: “due fotografe, per circa dieci anni, hanno esplorato le maniere con cui le persone interagiscono con i luoghi in cui vivono”. Questo lo scopo del libro che prometteva una visione, in grande formato, di luoghi ed eventi toccati dalla mano dell’uomo o dalla forza della natura. Aspettavo una perlustrazione fotografica, in tutto il mondo, in cui la ricerca visiva, focalizzata sul ambiente, vissuto dagli umani che lo abitano, avesse un ruolo preponderante. Le fotografie, invece, sono un miscuglio di eventi naturali visti come tali e di intromissioni umane o di accettazione di fenomeni con cui le persone convivono. Il risultato è molto discontinuo e superficiale, spesso si mescolano buone intenzioni visive con risultati che sono lontani dallo scopo.

 

 

 

 

C’è una caduta d’intenti quando l’esotismo fotografico diventa fine a se stesso e le fotografie sono lontane dal mostrare quanto era stato enunciato, mostrando una confusione sostanziale nei temi fotografati. Le forzature sono abbastanza evidenti con una scelta di luoghi e fenomeni impaginati in un continuo disomogeneo e alla fine della visione del libro, un senso d’incompiuto rimane costante. Spesso lo riguardo per capire se ho sbagliato nel mio approccio e ho valutato troppo in fretta il lavoro di Virginia Beahan e Laura McPhee, ma ogni volta non ho nessun motivo di ricredermi. Probabilmente, come nelle scelte degli album musicali, mi sono fatto abbagliare dalla copertina (prima immagine). Una ventina di anni fa guardare dentro ai libri fotografici era impossibile, salvo averli nelle mani e per questo volume fu così.

La sottile delusione sfogliate poche pagine e letta la bella introduzione di Rebecca Solnit continuò e, dopo averlo lasciato riposare, lo riguardai senza avere nessuna remissione dei suoi peccati. Nemmeno un lungo periodo di maturazione fu sufficiente a renderlo interessante. Rimane un documento confuso del cambiamento nella visione fotografica del paesaggio in trasformazione. Altri autori lavorarono dopo l’uscita di questo libro per documentare in maniera concreta quello che è stata ed è la trasformazione strabiliante e inquietante del paesaggio planetario.

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